"Non mi sento all’altezza"
Quando l’autosvalutazione prende il sopravvento
1. La voce interna che ci mette in dubbio
Sentirsi “non all’altezza” è un pensiero che può comparire in molti momenti della vita: prima di un colloquio, in una nuova relazione, sul lavoro, o semplicemente davanti a decisioni quotidiane. A volte è un dubbio passeggero, altre volte diventa una presenza più stabile, una voce interna che svaluta, che mette in discussione, che frena.
Questa sensazione ha spesso poco a che fare con le capacità reali. È come uno sguardo interiore distorto, che non riesce a riconoscere il proprio valore e tende a vedere soltanto ciò che manca, ciò che non va. Chi vive con una costante autosvalutazione può arrivare a mettere in discussione anche le cose fatte bene, attribuendo ogni risultato positivo al caso o alla benevolenza altrui, e ogni difficoltà a una presunta “inadeguatezza personale”.
2. Origini e segnali dell’autosvalutazione
La tendenza a svalutarsi può avere origini diverse: a volte nasce da esperienze precoci in cui ci si è sentiti poco riconosciuti, poco valorizzati o criticati. Altre volte si lega a contesti in cui il confronto con gli altri è continuo e vissuto come misura del proprio valore. In ogni caso, non si tratta di una “debolezza di carattere”, ma di una modalità appresa per interpretare sé stessi.
Alcuni segnali comuni:
- difficoltà ad accettare un complimento;
- convinzione che gli altri siano sempre più competenti o sicuri;
- sensazione di “essere in difetto” anche quando non ci sono motivi oggettivi;
- perfezionismo che porta a sentirsi sempre “non abbastanza”.
A lungo andare, questa modalità può minare la fiducia in sé e rendere faticoso affrontare anche situazioni semplici.
3. Riconoscere e cambiare lo sguardo su di sé
Uscire da questo schema non significa “convincersi” di valere, ma cominciare a guardarsi con più realismo e meno durezza. Significa riconoscere le proprie difficoltà, sì, ma anche i propri passi avanti, le risorse, i modi in cui si è già affrontato molto.
Alcuni passaggi possibili:
- imparare a distinguere tra un errore e un fallimento personale;
- riconoscere che essere in difficoltà non è la prova di essere inadeguati, ma una condizione umana condivisa;
- concedersi di imparare, anche sbagliando;
- osservare i propri pensieri critici come ipotesi, non come verità assolute.
È un lavoro che richiede tempo, ma che può portare a una forma di fiducia meno apparente e più solida: quella che non nega i limiti, ma riconosce il proprio valore anche quando si ha paura.